Si racconta tra gli addetti ai lavori che un prodotto alimentare non potrà mai essere in regola completamente con la cosiddetta “tracciabilità” che entrerà in vigore nel 2005 in tutta l’Europa: sto parlando della Coca-Cola. Essendo l’estratto concentrato, che arriva dalla casa madre americana, sconosciuto in alcuni suoi ingredienti, non sarà possibile risalire a tutti i fornitori di materie prime. E’ solo una battuta, che la dice lunga su questa bevanda “internazionale, globale, colonizzatrice”, ma pur sempre americana ed anzi un simbolo della “Americanità”, che nell’immaginario collettivo rappresenta, nel bene e nel male, molto più di un semplice dissetante.
Eppure tutto nasce da un vino. Se si legge l’interessante testo di M. Pendergrast “La vera storia della Coca-Cola” ed. Piemme 1993, si scopre che il vero inventore non fu un farmacista di Atlanta, tale Pemberton, bensì un signore di origine corsa, che, trapiantato a Neully-sur-Seine, presso Parigi, intorno al 1871, ideò il famoso “Vin Mariani” un vino aromatizzato a base di foglie di coca, estratti vari e vino di Bordeaux. Ange Mariani (1838-1914), di professione giornalista, fu ispirato nella scelta di elaborare un elisir medicinale a base vino dal fatto che le proprietà della coca, pianta spontanea dell’America Latina, erano ben conosciute da secoli.
Presso i popoli andini l’abitudine a masticare foglie di coca per resistere alla fame, alla fatica e al male d’altitudine è consolidata dall’antichità. Non a caso la chiamavano “pianta degli dei”, ma nella seconda metà dell’ottocento scienziati e medici evidenziano in misura crescente le virtù degli estratti della coca: viene usata in chirurgia, Freud la prova su se stesso come antidepressivo, spesso diventa un elisir di lunga vita. Non si contano le applicazioni pratiche: infusi, pastiglie, caramelle, sigarette, ect. Mariani crea allora una piccola serra di piante di coca, e fa macerare le foglie nel vino per estrarne le sostanze amare. Il vino usato è un rosso di Bordeaux. Nel 1871 lancia il prodotto sul mercato: è un vino medicinale chiamato “Vin Mariani” che ha subito un grande successo. Se ne decantano proprietà e virtù miracolose: tonico, corroborante, digestivo.
Viene lodato dalla cantante Sarah Bernard, dallo scrittore Emile Zola, dal papa Leone XIII, dal presidente dagli USA Grant. Quando il prodotto conquista i mercati esteri arrivano puntuali le imitazioni. Proprio un farmacista di Atlanta, J. S. Pemberton, crea uno sciroppo partendo dal “Vin Mariani”: foglie di coca peruviana a macerate nel vino, ma aggiunge anche noci di cola africana del Ghana che contengono pure caffeina. Nel 1886 nasce il F.Wine of Coca, uno sciroppo che si doveva diluire con acqua. Era stimolante di …tutto, cosi diceva la pubblicità e pure il sottotitolo in etichetta era invitante ovvero Brian Tonic. Ma furono le leggi sul proibizionismo introdotte nel 1886 a seguito una campagna moralista e puritana a consolidare il successo del nuovo prodotto e mettere in oblio il “Vin Mariani”. Il noto farmacista di Atlanta tolse il vino apportatore di alcol e lo sostituì semplicemente con acqua e seltz. Era nata la Coca cola, bibita subito definita dall’inventore “deliziosa, rinfrescante, esilarante e …ringiovanente”.
Per curiosità, sino al 1904 conteneva seppur in minime quantità cocaina: da quella data, su imposizione del governo federale americano, dalle foglie di coca viene estratto tutto l’alcaloide prima dell’uso. Resta ancora nella formula – ancora segreta e nota sola al presidente in carica della sociètà – e conservata in cassaforte ad Atlanta, la caffeina.
A corollario, una nota autobiografica: per me la Coca-Cola ha rappresentato un fallimento come padre. Volevo evitare che mia figlia la bevesse e invece apprezzasse il vino. Mille discorsi, risultati zero. Penso che le righe che seguono interessino altri padri. E’ tutto vero, è successo anni fa in casa mia. “Papà… è cosi buona!” Avevo preparato tutto con molta cura: piatti simpatici, gustosi, semplici come le piadine con prosciutto o l’insalata con formaggio e noci; avevo abolito con fatica, molta fatica, Chips, Fonzies e altre cose. Sulla tovaglia colorata ho trovato invece tre inconfondibili lattine rosse di Coca-Cola, con non chalance, mia figlia ne ha subito aperta una. “Papà… è cosi buona!” ripete mia figlia sorridendo, beve alcuni sorsi, altri bicchieri si stanno riempendo.
Altro che vini adatti ai giovani, quante analisi che si dissolvono, avevo previsto un Gavi, leggero e un po’ frizzante, un novello del Veneto appena arrivato sul mercato e per il dolce – la crostata della zia – un Moscato d’Asti dolce, dolce. Per un attimo guardo le bottiglie di vino, resteranno chiuse in una bella tavolata, tutti ragazzi di diciassette – diciannove anni, liceo classico Govone di Alba.
Niente da fare, buco completo, l’onnipresente, universale, unica, invadentissima miscela made in USA ovvero zucchero, cola, caffeina, estratti vegetali, trionfa sulla tavola, riempie bicchieri, palati e tanti commenti ironici: provo a dire qualcosa, mescolo un po’ di antiamericanismo vecchia maniera al mito di J. F. Kennedy ma è subito retromarcia. Al tavolo sono seduti undici giovani, hanno diritto allo loro serata, ai loro gusti, alle loro scelte. “Papà magari dopo beviamo un po’ di vino” fa mia figlia. Sorride, fa tenerezza, come fai ad essere arrabbiato?
Anni fa,nella famiglia patriarcale contadina, un giovane iniziava a bere vino, era normale, era parte del vissuto quotidiano. Negli ultimi venti anni i consumi sono fortemente calati, ma soprattutto diminuiscono sempre più, per i giovani, le occasioni per conoscere o avvicinarsi al vino ed anche ad una giusta e corretta educazione alimentare.
La scuola elementare potrebbe avere un ruolo propositivo, i programmi didattici dovrebbero contenere corsi su queste tematiche. Ricordo dieci anni fa quale interesse suscitò, in una classe di terza elementare di Alba, la pigiatura di uve nebbiolo in un “garòss”, la successiva fermentazione, l’imbottigliamento in primavera.
Qualcosa viene fatto da Slow Food, da anni, con le “settimane del gusto”, incentiva nelle scuole e presso ritrovi convenzionati, la conoscenza alimentare per i giovani; numerosi corsi di degustazione sono rivolti prioritariamente agli studenti, ricordo quelli in Alba, all’osteria dell’Arco di molti anni fa e pure nel locale “in” della provincia, il Baladin di Piozzo, oltretutto si trattava di una birreria, ma i risultati sono stati egualmente interessanti.
Lorenzo Tablino