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Affinamento in legno: la scelta dei tempi

Per gestire in modo corretto e razionale l’affinamento dei vini rossi con una permanenza più o meno prolungata nei fusti di legno, è necessario chiarire prima quali sono gli scopi che consente di conseguire e quali sono i tempi relativi.

L’affinamento in legno, se ben condotto, conduce non solo ad un miglioramento sensoriale del prodotto, ma altresì ad una soddisfacente stabilità del vino in modo progressivo e naturale, nei suoi vari aspetti: limpidezza, colore, riduzione della carica microbica, miglioramento del complesso colloidale, inerzia nei confronti di intorbidamenti di vario tipo.

La tradizione

affinamentoLa durata d’impiego delle barriques di norma è di tre anni o, meglio di “tre vini”. Questo periodo, basato su una lunga esperienza, risulta quello ottimale anche in funzione degli accertamenti riguardanti le cessioni del complesso dei composti aromatici e polifenolici del legno: dopo tre anni tale fenomeno è ormai trascurabile. Vi possono essere due concetti nell’impiego di questi piccoli fusti. Secondo il primo, nelle barriques nuove si pongono le selezioni migliori, mentre per le partite giudicate meno promettenti vengono impiegate le barriques in cui già è stato affinato un vino ed eventualmente per i vini da cui non ci si aspetta molto vengono impiegate i fusti “di due vini”. Nel corso dei travasi, che di norma sono quattro nel corso del primo anno e in seguito ogni quattro mesi, il vino non cambia lotto di botti, ma rimane sempre nel medesimo. Secondo un altro procedimento, le barriques nuove vengono utilizzate per un primo periodo, dopo di che il vino passa in quelle già utilizzate l’anno prima e finisce l’affinamento in quelle al terzo periodo d’impiego.
L’introduzione precoce in legno presenta di certo numerosi vantaggi, innanzi tutto perché il modesto volume facilita grandemente il depositarsi delle fecce in sospensione, sia per il breve tratto verticale da percorrere, sia per il veloce abbassarsi della temperatura con i primi freddi invernali. Si osserva un’abbondante precipitazione di bitartrato misto a sostanza colorante ed a colloidi instabili. Nel volgere di poche settimane si ha già un buon illimpidimento del prodotto.
I travasi, che per tradizione vengono effettuati insufflando aria dal cocchiume, consentono, oltre che di separare molto bene le fecce, anche di ossigenare più o meno il vino, se necessario. Si osservano infatti incrementi di 5-8 mg/ di O2. Questa moderata ossigenazione è molto utile per favorire la polimerizzazione dei tannini e degli antociani e stabilizzare quindi il colore del vino. Se le dosi suddette sono giudicate eccessive (caso di pH e temperature relativamente alte), il travaso avviene introducendo con lentezza il vino sul fondo del nuovo recipiente in modo da limitare il contatto con l’aria; in tal caso l’incremento in ossigeno non supera i 2-3 mg/l. E’ possibile anche usare un gas inerte, di norma l’azoto, invece dell’aria. Per eseguire questa delicata operazione si usa attualmente un piccolo compressore o bombole di gas compresso: l’impiego di pompe provocherebbe spesso la risalita del deposito e l’intorbidamento del vino.
Nei primi mesi dell’affinamento, secondo la tradizione prevalente in Francia, i fusti vengono mantenuti col cocchiume in alto, su cui si appoggia un tappo di vetro o di silicone, in modo da facilitare i rabbocchi e il graduale allontanamento del gas carbonico di cui il vino è saturo. Più tardi la barrique viene tappata ermeticamente e spesso posta col cocchiume di lato (bonde a coté), in modo da mantenere il vino maggiormente al riparo dall’aria. Nel corso dei travasi si addizionano anche piccole dosi di SO2 , per mantenere il livello della frazione libera a 15-20 mg/l.
Al termine del primo anno d’affinamento, l’illimpidimento definitivo viene favorito da un trattamento con un chiarificante proteico (7-8 chiare d’uovo per fusto o la quantità equivalente di ovoalbumina), omogeneizzandolo nel vino con un’energica agitazione. La chiarificazione comporta la saturazione del vino con l’ossigeno, però nel periodo immediatamente successivo in cui il vino resta a contatto col deposito, se ne osserva una rapida diminuzione, sia perché le proteine reagiscono con tale elemento, sia perché facilitano i processi di riduzione. Il vino viene separato dal deposito dopo 40-45 giorni.
L’accertamento delle caratteristiche sensoriali dei vini affinati in barriques dimostra che dopo circa un anno, indipendentemente dalle caratteristiche del vino iniziale, in media le note positive raggiungono un massimo, mentre le sensazioni amare ed astringenti sono notevolmente diminuite. La costituzione della massa viene fatta poco prima dell’imbottigliamento ed il vino di regola non viene più filtrato, perché già sufficientemente limpido e stabile. Nondimeno stabilire quando un vino deve abbandonare la barrique non è facile e spesso solo l’esperienza maturata nel tempo dal tecnico con il particolare tipo di vino e l’annata di vinificazione può fornire indicazioni utili, anche se è opportuno rammentare che nel corso del successivo affinamento in bottiglia, le caratteristiche più accentuate tendono ad attenuarsi ed a fondersi fra loro.
Questo procedimento tradizionale, è stato in questi ultimi anni accuramentente esaminato con moderni procedimenti analitici e microbiologici, che pur giustificandolo nel suo complesso, hanno meglio chiarito alcune circostanze e suggerito alcune modificazioni, utili in determinati casi. Accenniamo brevemente alle principali.

Evoluzione e funzioni della flora microbica

Era un tempo consuetudine far avvenire la fermentazione malolattica (FML) immediatamente dopo la fermentazione alcolica e porre in seguito il vino già sufficientemente illimpidito nelle barriques. Attualmente prevale un procedimento differente, che prevede l’introduzione nei fusti del vino ancora leggermente torbido per una modesta presenza di lieviti sospesi che si depositeranno formando quelle che vengono dette fecce fini, definite come quelle che non si depositano nel giro di ca. 24 ore. Si favorisce poi l’insorgere della FML mantenendo la temperatura a livelli adatti (18-20 °C) ed addizionando se del caso inoculi di batteri selezionati. Due sono le principali motivazioni di questo modo di procedere. Innanzi tutto la presenza di cellule di lieviti provoca il progressivo aumento del tenore in colloidi glucidici, ceduti dalle pareti cellulari, mannani, glucani, glicoproteine di vario tipo. La presenza di questi polisaccaridi induce la formazione di complessi con i tannini ed il risultato è una diminuzione dell’astringenza ed un aumento all’assaggio della sensazione di rotondità e di vellutato. Inoltre i vini così affinati presentano una miglior persistenza dei caratteri di fruttato, perché i lieviti contribuiscono al mantenimento di un ambiente più ridotto, favorevole allo sviluppo di tali note olfattive, nonostante le aerazioni. E’ però da osservare che questa azione di riduzione può rivelarsi pericolosa se i lieviti non vengono riportati in sospensione con frequenza settimanale: in caso contrario tendono ad incollarsi sul fondo del fusto, originando poi spesso odori solfidrici sgradevoli. Gli effetti positivi più sopra accennati possono venir efficacemente coadiuvati sia da un prolungarsi del contatto con i lieviti a mezzo di una macerazione prolungata prima della svinatura a vinaccia sommersa, sia dell’impiego di particolari ceppi di lieviti che cedono mediamente più mannoproteine di altri. Il concludersi di questi fenomeni interviene dopo circa sei mesi di contatto. I tradizionali travasi ogni tre o quattro mesi sono comunque indispensabili, per allontanare le fecce di tipo grossolano che continuano a riformarsi nel vino per l’agglomerarsi di vari costituenti insolubilizzati.
Nel vino nuovo sono presenti, oltre ai lieviti, popolazioni variabili di batteri acetici e lattici. Il numero di queste forme microbiche è stato per molto tempo sottovalutato: ricerche recenti, condotte a mezzo della tecnica dell’epifluorescenza, hanno indicato la presenza di un numero di batteri viventi molto superiore a quello prima supposto. In occasione dei travasi, l’ossigeno che si discioglie nel vino provoca una moltiplicazione transitoria dei batteri acetici ed un inevitabile modesto aumento dell’acidità volatile; in seguito il numero di acetici regredisce sino al nuovo travaso. Per quanto riguarda i batteri lattici, studi recenti hanno dimostrato che il loro numero resta sorprendentemente elevato nei vini, ben al di là della fine della FML. E’ certo che alcuni componenti polifenolici, come gli antociani, favoriscono il loro sviluppo. Si è creduto per lungo tempo che le addizioni di SO2 li eliminassero pressocché completamente, ma indagini più approfondite hanno dimostrato che per conseguire questo scopo ne sarebbero necessarie quantità assai più elevate di quelle usualmente utilizzate. Infatti le combinazioni di alcuni componenti polifenolici con SO2 ne diminuiscono molto la tossicità. Il numero dei batteri lattici va lentamente diminuendo col tempo e descresce bruscamente al momento della chiarificazione. Al termine dell’affinamento sono quasi del tutto scomparsi.
Un concetto nuovo che si è stabilito di recente è l’interazione positiva che si stabilisce fra l’attività dei batteri lattici e quelli acetici, con conseguente riduzione dell’acidità volatile formata. Infatti gli acetici ossidano prima l’etanolo ad acetaldeide, per poi ossidare questa ad acido acetico. Ma l’acetaldeide è anche facilmente ridotta di nuovo ad etanolo dai batteri lattici, che quindi in tal modo traggono un vantaggio energetico da questo composto intermedio degli acetici, con una consistente minor formazione finale di acido acetico.

Conseguimento della stabilità colloidale

Va tenuto presente che nel vino sono presenti una notevole quantità di molecole sotto forma polimerizzata (tannini, forme colorate, proteine solubili e polisaccaridi), che partecipano al complesso colloidale tipico del vino stesso. Il livello di concentrazione di queste diverse forme determinano ad un tempo la densità colloidale e la sua stabilità. Alcuni interventi tecnologici, quali le filtrazioni o chiarifiche brutali tendono a sottrarre alcuni di questi componenti ed a perturbarne l’equilibrio. Sembra più giudizioso ai fini di una miglior qualità gustativa, conservarli ed avviarli ad una forma finale stabile, con vini più rotondi e vellutati ed una notevole stabilità nel corso del tempo, nonostante un forte contenuto in polifenoli. L’affinamento in fusti consente di conseguire questo scopo in modo semplice ed efficace.

Migrazione dei polifenoli e delle sostanze aromatiche

Per le applicazioni pratiche ha notevole importanza non solo la qualità e la quantità delle sostanze cedute dal rovere nel corso della permanenza del vino nel fusto, ma anche la dinamica di questo processo, che incide in modo evidente sulla durata dell’affinamento e quindi sui costi e sull’organizzazione dell’azienda.
Recenti ricerche dimostrano che nel caso di una barrique nuova, almeno per i tannini, dopo appena un giorno si ha un rapido incremento nelle immediate vicinanze del legno, mentre nella massa del liquido (se non agitato) la concentrazione rimane immutata. Ciò sembra implicare una rapida dissoluzione dei polifenoli dalla superficie legnosa ed una diffusione relativamente lenta nella fase liquida. Dopo una settimana circa il tenore di polifenoli negli strati a stretto contatto col legno comincia a decrescere, il che dimostra che il passaggio dal legno al liquido sta diventando il fattore limitante del fenomeno. Nel contempo la concentrazione in polifenoli della massa del liquido si incrementa in modo costante e dopo circa tre settimane scompare ogni differenza all’interno della massa del vino. Ciò sembra dimostrare un processo a due stadi. Nel primo il passaggio dei polifenoli nello strato di contatto legno/vino è rapido per la solubilizzazione delle sostanze interessate, mentre la diffusione nel liquido è lenta. Dopo pochi giorni la superficie del legno è quasi del tutto esaurita; quindi i polifenoli debbono venir solubilizzati negli strati interni, poi trasferiti per diffusione alla superficie di contatto e di qui alla massa liquida. Quindi il trasporto dalle parti interne del legno alla superficie di contatto diviene a sua volta il fattore limitante. Una conferma di questo processo si ottiene da ciò che si osserva in una fusto già usato: la diffusione dei polifenoli non mostra l’arricchimento iniziale presso la superficie di contatto.
Nel legno di rovere sono state messe in evidenza numerosissime sostanze volatili che contribuiscono al complesso di quella sensazione di boisée che caratterizza in modo più o meno intenso i vini affinati in barriques. La migrazione di questi composti dal legno al vino non è stata chiarita per tutti, ma accertamenti fatti per alcuni di quelli di sicura maggior importanza, hanno messo in evidenza come la dinamica di cessione vari notevolmente fra l’uno e l’altro. Quindi i risultati sensoriali ottenuti non solo si diversificano come intensità col prolungamento del soggiorno in fusto, ma anche come tonalità. Anche in questo caso solo l’esperienza sui vari tipi di vino può indicare quale apporto meglio si confaccia al vino considerato, agendo non solo sui tempi, ma anche sull’eventuale susseguirsi del soggiorno in barriques nuove o già usate.

Mario Castino

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