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Imparare dalle crisi: video e sintesi del convegno

Imparare dalle crisi: Anteprima vendemmia riflette sulla lezione del 2022

Della crisi climatica e delle conseguenze per l’ambiente, l’agricoltura e la viticoltura si era già parlato in occasione di Anteprima vendemmia 2021 con Luca Mercalli esattamente un anno fa e lo si è continuato a fare sempre più spesso nei tanti eventi tecnici e scientifici che si sono succeduti nel corso dell’ultimo anno. Un anno il 2022 che, come ha spiegato Federico Spanna del servizio Agrometeorologico della Regione Piemonte, con il perdurare delle temperature al di sopra delle medie stagionali e per la condizione di estrema siccità che ha interessato praticamente tutte le fasi di sviluppo della vite, ha rappresentato un banco di prova, sul quale si sono potuti valutare lo stato e la capacità di adattamento dei vigneti.

Una prova che sembra essere stata superata più che dignitosamente dicono i dati delle maturazioni delle varietà piemontesi presentati da Michele Vigasio di Vignaioli Piemontesi, non perché la crisi non sia grave, ma perché rispetto ad altre annate calde, come il 2003, la viticoltura è cambiata e una gestione più accurata del vigneto, ha reso le viti complessivamente più resilienti agli stress idrici, termici e radiativi.

È in questa direzione che occorre continuare a lavorare nella ricerca scientifica e nel lavoro in vigneto, individuando tutti gli strumenti possibili per permettere alla vite di adattarsi al meglio nel breve, medio e lungo periodo e, come specificava il titolo del convegno tenutosi in occasione della presentazione dell’Annata Vitivinicola in Piemonte 2022, “imparando dalle crisi”.

La lezione del 2022

Per capire cosa si dovrà fare, quali strumenti sono disponibili  e quali altri lo saranno in futuro sono intervenuti Silvia Guidoni e Vincenzo Gerbi dell’Università di Torino, Isabella Ghiglieno dell’Università di Brescia, Matteo Gatti dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza e Stefano Raimondi, ampelografo e profondo conoscitore delle potenzialità legate alla biodiversità viticola in vigneto.

Il primo messaggio emerso dalle relazioni e dai dati presentati è chiaro: l’effetto del cambiamento non è uniforme e l’analisi sito-specifica del territorio è fondamentale per scegliere le strategie di gestione e impianto del vigneto, più adatte ad ogni diverso contesto.

In alcuni casi, ha spiegato Silvia Guidoni presentando le elaborazioni del progetto di analisi degli indici bioclimatici tra il 2005 e il 2022 nelle zone UNESCO di Langhe, Roero e Monferrato, anche all’interno di una stessa Core zone tra le sette prese in esame, gli indici non si presentano omogenei e variano in modo diverso in funzione della fase fenologica e dell’anno.

 

Anche i risultati preliminari della sperimentazione sugli interventi di diradamento e cimatura per la regolazione degli organi di accumulo e di sintesi, presentati da Isabella Ghiglieno,  evidenziano la necessità anche su uno stesso vitigno, il Nebbiolo, di adattare e combinare in modo diverso le strategie di gestione in funzione delle condizioni maggiori o minori di stress idrico. La sperimentazione realizzata nella zona di Gattinara e in Valtellina ha visto la collaborazione dell’Università di Brescia, quella di Milano e i tecnici di Vignaioli Piemontesi.

Un’attenzione sempre maggiore deve essere riservata al suolo, alla sua fertilità biologica e al ruolo che esso ricopre nella conservazione della risorsa idrica. Matteo Gatti ha presentato i risultati dei progetti svolti dal gruppo di ricerca dell’Università Cattolica di Piacenza per l’individuazione delle strategie migliori nel conciliare l’effetto benefico della copertura vegetale, dato dagli inerbimenti, e la necessità di contenere il rischio di competizione per la risorsa idrica tra la vite e le specie erbacee. Interessanti i risultati relativi alla scelta dei miscugli di specie diverse per la semina dell’interfila, graminacee e leguminose, e della tecnica di interruzione o terminazione della copertura vegetale, con sovescio, rullatura o pacciamatura nel sottofila. Tecniche nuove o che in passato erano state in parte accantonate ma che, al cambiare delle condizioni, possono essere rivalutate e reinterpretate in chiave moderna.

Anche le risorse genetiche con la conservazione del patrimonio varietale regionale, il recupero di varietà quasi dimenticate o la sperimentazione sulle nuove varietà resistenti, rappresentano uno strumento fondamentale per affrontare le sfide legate alla crisi climatica e alla riduzione degli input in vigneto.

È il caso ad esempio del Liseiret, ha spiegato Stefano Raimondi, una varietà in passato molto diffusa non solo in Italia ma anche, con nomi diversi, in tutta l’Europa Centrale, dove ha dato origine a molti vitigni come lo Chardonnay e il Riesling. Abbandonata in quanto ritenuta di scarso interesse enologico, il Liseiret che produce uve con elevata acidità e basso contenuto in zuccheri, potrebbe divenire oggi interessante soprattutto per la produzione di basi spumante. Liseiret, insieme al Moretto Grosso e la Pignola, e a quattro nuove uve resistenti a peronospora e oidio, Fleurtai, Soreli, Sauvignon Rytos e Cabernet Volos, sono varietà in osservazione in Piemonte, per le quali è autorizzato l’impianto anche nel periodo di valutazione per l’idoneità alla coltivazione sul territorio regionale.

Ma la qualità dell’uva, che nel 2022 per le varietà piemontesi si è rivelata ottima sia per le varietà a bacca bianca sia per quelle a bacca rossa, deve poi essere proiettata al risultato della sua trasformazione e alla qualità dei vini che se ne otterranno.

I forti stress idrici e termici ai quali la vite si trova sottoposta portano sempre più spesso a uve con caratteristiche compositive diverse rispetto a quanto si osservava in passato, con contenuti più elevati in zuccheri e più bassi in acidi organici, in modo particolare in acido malico, mentre gli obiettivi di maturazione fenolica risultano più facili da raggiungere in alcune varietà come la Barbera, rispetto ad altre come il Nebbiolo dove continuano a rappresentare una condizione prioritaria e irrinunciabile. Di questi aspetti e della necessità crescente in epoca di cambiamento climatico di tenere sotto controllo e non trascurare fattori di rischio legati al contenuto in azoto assimilabile dei mosti, la gestione delle temperature di fermentazione e la resistenza all’alcol dei ceppi di lievito scelti, ha parlato Vincenzo Gerbi, sottolineando che in cantina nessun intervento enologico è importante quanto la conoscenza dell’uva, che permette di differenziare scelte e tecniche applicate.

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