Il seminario dedicato al Mal dell’esca ha evidenziato come non si possano affrontare queste patologie con un’unica tecnica di cura, ma come sia necessario approcciare piuttosto il problema “a sistema” considerando tutti gli aspetti agronomici: scelte di impianto, terreni vocati, barbatelle e porta innesti selezionati, gestione del vigore del vigneto. Senza trascurare evidentemente l’impatto di un clima sempre più imprevedibile nelle ultime stagioni.
Problemi condivisi da tanti produttori che in Italia, tra Mal dell’Esca e Flavescenza Dorata rischiano il 10% del proprio vigneto all’anno.
La buona notizia è che il Mal dell’esca si può prevenire. Attraverso delle scelte e tecniche vivaistiche oculate e soprattutto recuperando la professionalità, il saper fare in vigna, in particolare nelle delicate operazioni di potatura, perché la malattia si manifesta molto più spesso quando ci sono tagli errati.
Il grande patrimonio costituito dal “Vigneto Italia” va tutelato attraverso una conoscenza approfondita delle tecniche di potatura, perché non si hanno ancora abbastanza dati concordi sull’efficacia dei vari prodotti curativi e preventivi. Anche la recente introduzione della tecnica di dendrochirurgia, ovvero l’asportazione dalla pianta del legno malato, pur restituendo segnali incoraggianti non fornisce dati di lungo periodo.
Il Convegno, inoltre, ha confermato la maggiore sensibilità di alcuni vitigni alle Malattie del Legno rispetto ad altri, in particolare Croatina e Bonarda, mentre al contrario il Nebbiolo risulta meno suscettibile alla patologia.
Laura Mugnai del DAGRI, Dipartimento Di Scienze e Tecnologie Agrarie, Alimentari, Ambientali e Forestali presenta il quadro eziologico della “malattia”, oggi individuata nel quadro delle malattie del legno definito GTD Grapevine Trunk Diseases, nella quale sono implicati molteplici funghi responsabili di quadri sintomaci diversi. Sono tre in particolare, ben distinguibili (con relativo necessario addestramento): la carie, la necrosi, la malattia delle foglie striate. Ricordiamo che la malattia , in vigneto, puo’ avere un decorso cronico (lento e progressivo), oppure rapidissimo e ‘fulminante’.In questo caso si parla di colpo apoplettico. Trovate una breve videointervista della studiosa e un documento quanto mai completo e attuale qui. Come altri relatori, la Mugnai conferma che la disinfezione degli attrezzi di potatura ha incidenza marginalissima sulla moltiplicazione della malattia in vigneto.
Olivier Viret, Responsabile del Centre de compétence cultures spéciales (DEIS), analizza ulteriormente aspetti eziologici, sottolineando come elemento di evidenza discordante che le popolazioni fungine riscontrate nel legno di barbatelle in vivaio sono sostanzialmente diverse da quelle delle stesse viti messe a dimora e divenute col tempo adulte e sintomatiche. I tagli di potatura rappresentano perciò la via d’ingresso preferenziale dei patogeni implicati. Tanti più sono, – e se fatti “male” – tanto più esse aumentano. Testimonianza vivente sono vecchi impianti sanissimi allevate con sistemi espansi (Belussi per esempio, che adotta pochissimi tagli di ritorno) che lasciano, in pratica, la vite a seguire quello che è il suo naturale portamento di liana. Sui metodi curativi si esprime con una diapositiva che non ha bisogno di commenti: non funziona niente.
Eugenio Sartori (Vivai cooperativi Rauscedo) illustra i progressi fatti negli ultimi 40 anni dalla filiera vivaistica difendendo il settore (e la garanzia sanitaria sottesa dalla certificazione). Sostiene che sono più pericolose, come fonti di ingresso, le ferita provocate dalle spollonature (soprattuto se fuori tempo) e che per questo motivo sia da preferire, nella coltivazione delle PMportinnesti, il sitema di allevamento strisciante, rispetto a quello su sostegni a T, dove l’emissione pollonifera dal piede/fusto è nettamente maggiore (diversamente dalle ‘teste’ dei ceppi nella forma strisciante). Guarda a caso (in stesse situazioni colturali) si hanno maggiori riscontri i sul fronte esca quando le viti sono innestate su 1103P,PI – tra quelli con sangue Rupestris- tra i più polloniferi. Questo concetto di una spollonatura consona (a tempo, almeno) si può dunque trasferire anche in vigneto. A parità di tecnica agronomica, egli sostiene che c’è anche un’evidente sensibilità varietale, lampante maggiore p.es nel Lambrusco salamino e tra i vitigni piemontesi, nella Bonarda e nella Croatina (D.Ferrarese). Nebbiolo molto poco sensibile. Sostiene anche che nella conduzione dei vigneti sperimentali VCR non hanno avuto riscontri positi derivanti dall’estirpo delle piante sintomatiche da Esca, per cui la tendenza attuale è quella di capitozzarle.
Marc Birebent, Presidente di Worldwide Vineyards, entra a gamba tesa, sostenendo che “l’apoplessia non è una malattia ma un incidente vascolare” e che la responsabilità originaria della diffusione delle malattie del legno è legata alla diffusione dell’innesto a omega (con una slide chiara che paragona la corrispondente macchina alla ghigliottina). Questa pratica, per il bruto sezionamento trasversale, determina la massima devastazione sul sistema vascolare della marza e del portinnesto. Riporta una frase saliente del botanico francese L.Daniel che nel post filloserico scrisse “L’innesto ha momentaneamente salvato i nostri vitigni pur rischiando di compromettere il loro futuro. Alla lunga questa pratica causerà l’estinzione dei vecchi vitigni”. Sfodera la spada in difesa dell’innesto in campo a gemma ( T-bud) . Naturalmente, lui essendo, un professionista (e di raggio… wordlwide) in questo ambito. Le motivazioni, in parte condivisibili, sono sostanzialmente –con l’innesto a verde- quelle di un maggior rispetto del sistema vascolare capace di assicurare ottimi aggiustamenti cambiali.
Catania (Simonit&Sirch preparatori d’uva) sostiene l’approccio portante del metodo praticato e diffuso dalla sua nota squadra Simonit&Sirch di un taglio di “potatura soffice”. Quello cioè meno incisivo possibile, compiuto in modo da non ostacolare il flusso linfatico naturale della vite che decorre dalle radici verso le parti più distali (tralci di un anno). La sintesi e rappresentazione grafica dei relativi 4 punti chiave è ben illustrata sul loro omonimo sito. Ci limitiamo qui a riportare nozioni che hanno un riscontro fisiologico che condividiamo, e ben noto da tempi antichi (nulla di nuovo si dice, perciò l’esca è anche una malattia legata alla perdita della conoscenza nel -e alla mancanza di- tempo:
Il minor numero possibile di tagli su legno vecchio. Da ciò l’impostazione (e lo spazio necessario) di una pianta che viene allevata formando ramificazioni controllate (canali orizzontali) verso l’esterno e con tagli di potatura possibilmente sempre su unico lato, in modo che i coni di disseccamento (limitati in profondità e solo da un lato) non determinino reale ostruzione al flusso linfatico. È la situazione opposta a quella che si crea -di fatto- nella diffusissima ‘testa di salice’del guyot. Alcune foto salienti (di sezioni trasversali di legno) evidenziano l’incidenza delle zone necrotiche in essa presenti per i continui tagli di ritorno. Si ricorda -a tale proposito- che l’approfondimento del cono di disseccamento causato dal taglio, è di 1,5-2 volte la misura del diametro dello stesso. Onde, è fondamentale il concetto del “legno di rispetto” (non tagliare ‘a filo’ dunque) su tagli di legno vecchio. Simonit&C. sono sostenitori (ed operatori) della pratica della dendrochirurgia che sebbene non sia supportata da evidenze scientifiche specifiche, pare una buona tecnica per prolungare la vita di vecchi ceppi, quand’essi siano molto, ma… molto… valorosi…Scherzi a parte, la preservazione dei vecchi vigneti con il loro valore qualitativo aggiunto indiscutibile e la durata– con relative implicazioni economiche- prospettata per un nuovo impianto– è un altro argomento clou del convegno che ruota intorno al problema esca.
Davide Ferrarese (VignaVeritas, consulente viticolo del Consorzio tutela del Gavi) su questo argomento si addentra con calcoli economici, che è necessario fare onde prendere decisioni sulla convenienza relativa nel sostenere costi extra, considerando che rimpiazzare una vite può costare -all inclusive con mancata produttività- dai 15 (verosimili)ai 50 euro (caso di produzioni a DO di altissimo valore) . Apriamo cosi anche l’incognità sui trattamenti attualissimi con formulati commerciali proposti ad hoc sul mercato, sulla cui efficacia si è esposta Mugnai (ma vanno aggiunte tutte le considerazioni legate all’efficacia nel passaggio all’applicazione di campo, nonchè alla difficoltà oggettiva, secondo noi, di valutarla nel tempo).
Vengono presentate indagini che vertono anche su possibile incidenza delle annate (2018 sintomi in campo maggiori, legati all’elevata piovosità primaverile?) e riconfermatissima incidenza (maggiore) nelle condizioni di vigore (native di sito e/o indotte da tecnica colturale). Sicuramente concordiamo che le scelte agronomiche, tutte quelle possibili -a cominciare dall’indivuazione del sito di impianto- per proseguire -in primis- con quella della densità opportuna debbano contemplare il raggiungimento di un adeguato equilibrio vegeto-produttivo nel tempo (un tema sempre assolutamente attuale).
Si esce da questo congresso, francamente, un po’ con la consapevelozza spiazzante di saperne sempre di più e poter fare poco sul fronte GTD, e con l’impossibilità di dare delle risposte pratiche, come ha richiesto in un intervento sacrosanto un produttore, al termine. Si dovrebbe rivedere completamente l’impostazione a “geometria fissa (e minimale)” degli impianti che oggi obbligano la vite – questa è la sintesi madre – in forme di allevamento ostinatamente ridotte (ancor più in ambienti pedoclimatici che inducono vigore) che nulla hanno di sinergico rispetto alla sua caratteristica fondamentale: l’acrotonia. Ma qui si entra in un campo teorico e/o poco percorribile come sottolinea nell’ultimo saggio intervento
Matteo Ascheri, produttore e Presidente del Consorzio Tutela Barolo Barbaresco Alba Langhe e Dogliani, fa notare che il 95% dei vigneti piemontesi sono, di fatto potati a guyot o cordone speronato e poco si puo’ ,pertanto, fare. Il presidente del Consorzio apre semmai su una necessità molto più pratica di ulteriore ricerca, trasferita in pratica dal mondo scientifico a quello produttivo e che sia arrivato il momento che quest’ultimo debba, perlomeno, contribuire a finanziarla.