Non passa giorno senza leggere di progetti di agricoltura di precisione e “4.0”.
Si parla, semplificando, di uno schema basato su tre passaggi:
– dimensione aziendale. Di massima una viticoltura di precisione basata sullo schema prima riassunto non è economicamente sostenibile per le piccole realtà. Potrebbe diventarlo se estesa ad aggregazioni di viticoltori, come associazioni territoriali o cantine cooperative, purché dotate di una struttura dedicata e condivisa di personale e attrezzature.
– Formazione. Se da un lato l’innovazione potrà consentire di ottimizzare il lavoro, dall’altro richiederà lavoratori con una formazione diversa da quella di oggi, che siano a loro agio nell’utilizzo di computer di bordo, gestione mappe, sostituzione schede elettroniche e tutto ciò che va sotto il nome di IoT (Internet of Things, internet delle cose).
Da parte delle imprese si lamenta la difficoltà di trovare trattoristi qualificati anche senza tutte queste capacità, si può immaginare la difficoltà di aggiungere altre qualifiche a una ricerca che è già difficile così. C’è da dire che i giovani, i “nativi digitali”, sono veloci nell’apprendimento delle nuove tecnologie, bisogna però che qualcuno offra loro l’insegnamento, e difficilmente questo qualcuno può essere l’imprenditore o il capo operaio alla soglia della pensione. E quindi? Possono bastare i corsi da 8 ore online proposti su internet per avere il “patentino” da trattorista? Direi proprio di no. Possono bastare gli istituti agrari? Temo di no. So di aziende che, nella latitanza delle istituzioni pubbliche, hanno pensato di consorziarsi per organizzare corsi. Anche i produttori di macchine potrebbero organizzarne, può essere che qualcuno lo faccia: di fatto la nostra testata in oltre vent’anni di vita non ha mai ricevuto notizia di un corso per trattorista, che avremmo sicuramente pubblicato. È un problema che non riguarda solo il nostro settore e rappresenta uno dei motivi per cui, come spesso si legge, “le aziende non trovano personale”, perché lo vorrebbero già formato (e possibilmente, almeno alcune, pagarlo poco).
La diffusione di questi modelli di innovazione dipenderà, nei prossimi anni, soprattutto dagli sforzi che le imprese costruttrici faranno in due direzioni: da un lato l’ingegnerizzazione delle tecnologie, che consenta di renderle sempre più economiche e più facili da usare, dall’altro la comunicazione, perché sicuramente non bastano i programmi di “disseminazione” che i gruppi di ricerca pubblico-privato hanno attuato o stanno attuando perché imposti come vincolo per ottenere finanziamenti per la ricerca. Portare la viticoltura 4.0 nelle campagne richiede un impegno ben maggiore di questo.