Il prestigioso vitigno dell’Umbria è certamente un patrimonio per quella regione, anche se il suo successo internazionale è relativamente recente. Quindi si può capire l’indignazione del Sindaco di Montefalco (il comune storicamente più legato al Sagrantino) Valentini e quella del famoso produttore Caprai. Meno comprensibili le posizioni espresse dall’associazione Città del Vino e da autorevoli esponenti del Parlamento italiano, di diverso orientamento politico, tra cui il presidente della Commissione Agricoltura Forconi che ha parlato addirittura di “vero e proprio atto di pirateria agricola, che evidentemente è stato determinato soprattutto da interessi economici non molto chiari”, dichiarando di attendersi “una ferma presa di posizione da parte della Regione Umbria (che in effetti c’è poi stata, da parte del governatore della regione Maria Rita Lorenzetti), che insieme al territorio del Sagrantino, è vera parte lesa”. Ronconi annuncia l’intenzione di “intraprendere ogni iniziativa consentita per difendere l’origine territoriale del Sagrantino”, per evitare che l’iniziativa della Toscana assuma “un valore emblematico, introducendo un principio assolutamente deflagrante nella produzione e nella commercializzazione di vini tipici”.
A queste persone ed istituzioni sarebbe lecito chiedere un maggiore distacco e una riflessione più serena, e una minore smania di regolamentare e vietare, che è l’ultima cosa di cui il nostro settore ha bisogno, essendo già più che ben fornito di vincoli e proibizioni. Peraltro è anche lecito chiedersi come mai decine di vitigni autoctoni negli ultimi anni sono stati autorizzati in province e regioni diverse dalle supposte zone di origine, senza che se ne occupasse, con toni da tragedia greca, il telegiornale, e senza che nessuno avvertisse la “deflagrazione” di cui ha parlato l’Onorevole Ronconi: basti pensare ad esempio al Fiano e all’Aglianico, vitigni superbi, ormai autorizzati in gran parte del sud e centro Italia.
E’ una discussione già sentita anche in Piemonte, ad esempio contro la “esportazione” dell’Arneis al di fuori della provincia di Cuneo (ormai compiuta, visto che le autorizzazioni sono passate dalla scala provinciale a quella regionale). Ma, con tutto il rispetto per le idee e le sensibilità altrui, la mia opinione è che i vini prestigiosi da vitigni autoctoni vadano tutelati attraverso le DOC e DOCG, la qualità del prodotto intesa specialmente come espressione del “terroir”, che va studiata maggiormente, e la comunicazione incentrata sul legame vitigno-territorio. Pretendere di esercitare tale tutela chiudendo le frontiere ai vitigni è una soluzione impossibile da praticare (forse che in certe regioni si è aspettata la legge per piantare Sagrantino, ma anche Montepulciano, Petit Verdot, Tannat, Tempranillo o Teroldego? E l’Umbria, dal suo canto, è certa di poter scagliare la prima pietra?), e anche di dubbia legittimità sul piano teorico e giuridico. Dico di più: premesso, per sgombrare il campo da sospetti, che a noi piemontesi di piantare il Sagrantino non ci passa neanche per la testa, questa norma europea che prevede gli elenchi dei vitigni autorizzati per regione o per provincia si potrebbe tranquillamente spazzare via, con una benefica ventata di deregulation, senza provocare cambiamenti sostanziali nell’ampelografia italiana ed europea e nel mercato del vino, e senza obbligare gli istituti di ricerca, che hanno cose più importanti da fare, a defatiganti, routinari e scontati negli esiti lavori di “validazione” dei nuovi vitigni, e a volte anche dei vecchi, poiché, per assurdo, tra i vitigni non autorizzati ci sono anche molte vecchie varietà autoctone di cui tutti si erano dimenticati nella compilazione dei primi “elenchi”. Basterebbe eventualmente mantenere la categoria dei vitigni consigliati, prevedendo che solo questi si possano usare nelle DOC, o studiare altre soluzioni atte ad arginare un uso troppo spregiudicato dei vitigni di nuova introduzione: ma senza pretendere di insegnare ai produttori il loro mestiere, e tenendo presente che in Europa la consuetudine è più forte del marketing, o meglio è un elemento chiave del marketing stesso. Mi risulta, tra l’altro, che il Sagrantino sia stato piantato anche in Australia e in California, e con ottimi risultati. L’onorevole Forconi dovrà quindi, a questo punto, salpare per una spedizione transoceanica contro i pirati dei sette mari.
A parte gli scherzi, non si può che ripetere quello abbiamo sempre detto: con la DOC si tutela il territorio perché è unico e irripetibile, il vitigno non lo è, neppure se si chiama Sagrantino. Che poi esista una possibilità di confusione e di concorrenza sul nome non lo metto in dubbio, e qui viene fuori il solito liberismo marca Italia: siamo per la concorrenza, ma se non c’è è meglio. Ma chi crede davvero nel proprio territorio accetta la competizione, perché è convinto che lo stesso vino non si può fare altrove: il Sagrantino è sempre Sagrantino, ma Montefalco non sarà mai Bolgheri o Nizza Monferrato. Chardonnay, Cabernet, Syrah e Merlot prodotti in gran copia in Umbria sono diversi da quelli dei paesi di origine, anche se ce ne sono di ottimi. A proposito, siccome nessun vitigno è nato “internazionale”, non fu pirateria anche quella?
Murizio Gily