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Tutti alla guerra del truciolo

La decisione comunitaria che demanda ai paesi membri il compito di regolamentare e autorizzare l’uso di frammenti e lamine di legno (i cosiddetti “chips”, un po’ impropriamente chiamati trucioli, che costituiscono in qualche modo un surrogato all’affinamento in botti di rovere) ha sollevato un vespaio. Su questa questione si sono lette sulla stampa e ascoltate in televisione legittime critiche, condivisibili difese della tradizione, ma anche svariate stupidaggini. Vorremmo quindi, ospitando opinioni e interventi diversi all’interno di questo numero di Vignaioli Piemontesi, contribuire a fare chiarezza.

Per cominciare introduciamo alcuni spunti di riflessione:

1) I paesi extraeuropei non hanno alcuna intenzione di rinunciare a questa pratica, né a farsi imporre barriere protezionistiche dall’Europa rispetto ad essa: l’Organizzazione Mondiale dei Commerci (il WTO) sostiene le loro tesi, anche sulla base del parere dell’OIV (organismo tecnico e scientifico che potremmo definire l’ONU del vino), il quale ha dato un sostanziale nulla osta, quindi l’Europa si trova praticamente accerchiata. Tuttavia l’idea che questa tecnica sia necessaria per poter competere con i produttori extraeuropei è discutibile. Non si dovrebbe competere imitando i competitori, ma differenziandosi da loro.

2) Per quanto riguarda il vecchio continente, l’uso dei trucioli di legno nel vino è documentato da duecento anni e costituiva nell’ottocento una pratica abituale dei vinattieri. Non si tratta quindi di una novità ma al più di un ritorno, anche se i “trucioli” sono diversi da quelli di allora e usati con scopi parzialmente diversi. Inoltre questi prodotti non si usano solo nel Nuovo Mondo ma pure in Europa da molti anni (essendone tra l’altro i bottai francesi i maggiori produttori), attraverso stratagemmi normativi vari ed in quantità ragguardevoli. Benché siano teoricamente illegali, si trovano sui cataloghi delle ditte fornitrici. Una sanatoria generale si renderebbe quasi inevitabile se i servizi di controllo cominciassero a ficcare il naso dentro le vasche di centinaia di cantine europee. In altre parole, per chiudere la stalla forse è troppo tardi, i buoi sono già scappati.

3) I chips, come del resto le botti, non servono solo a conferire “sapore di legno”, ma hanno altre funzioni tecnologiche sulle quali non ci dilunghiamo in questa sede (si veda l’intervista a Roberto Zironi a pag. 10), tramite i tannini che sono in grado di cedere. Questi stessi tannini, estratti dal rovere o anche da altri legni, come il quebracho, sono ampiamente e legalmente usati da decenni in forma polverulenta o liquida, quasi con una sola limitazione, il costo. Tra i due prodotti qual è il più naturale, il legno o i suoi estratti? Qualche dubbio è legittimo.

4) La teoria che i chips possano togliere i difetti ad un vino di scarsa qualità è assai dubbia: come nella barrique, un vino mediocre a contatto con il legno solitamente peggiora.

5) Angelo Gaja dice che ci vuole un metodo di analisi ufficiale prima di autorizzarli. Tanto varrebbe dire che vanno vietati, un metodo ufficiale non esiste oggi e non esisterà probabilmente mai. Cosa si dovrebbe ricercare nel vino, che non possa essere ceduto anche da una botte? Questo non vuol dire che la botte, la barrique e i chips funzionino allo stesso modo, ma che è impossibile codificare queste differenze con un metodo di analisi, se i materiali sono tutti di qualità comparabile. Anche per questo l’idea che l’uso dei trucioli vada indicato in etichetta può essere condivisa, ma con la consapevolezza che sarà molto difficile scovare e sanzionare che elude questa norma.

6) Quand’anche la pratica fosse autorizzata, nulla vieterebbe non solo al singolo produttore, ma anche ad un consorzio di tutela, forse anche ad una regione, di rinunciare volontariamente ad essa dichiarando il proprio vino o la propria DOC “chips free” come ha suggerito Sergio Miravalle per il Piemonte su “La Stampa”. Sul piano della comunicazione è una carta che si può giocare, ma attenti: se poi qualcuno si fa beccare in fallo diventa controproducente (adagio piemontese, assai coerente con i comportamenti di alcuni difensori a parole della tradizione: “fai quello che il prete fa, non quello che il prete dice”).

7) Comunque si valuti la questione sul piano tecnico e politico, il sensazionalismo salutista, cavalcato anche da personaggi autorevoli, sui rischi per la salute dei chips è scientificamente azzardato e deleterio sul piano mediatico: seminare queste paure allontana semplicemente i consumatori dal vino e aiuta solo la Coca-Cola. I prodotti di pirolisi come il benzopirene, imputati di questa tossicità, si originano dal riscaldamento del legno ad alta temperatura: quindi non esistono rischi su legni non tostati o a bassa tostatura, mentre ne esistono su legni trattati in modo inopportuno, che siano chips o doghe di botte. Metalli pesanti ed altre sostanze possono essere un problema nel rapporto tra vino e legno? Gli scienziati indichino allora ai produttori e agli organi di controllo, sulla base di dati e studi scientifici, quali sono queste molecole, le rispettive soglie di pericolosità e i metodi di analisi, invece di agitarsi sui giornali ed in televisione seminando paura tra i consumatori. Più scienza e meno smania di apparire, prego.

Maurizio Gily

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